Come non va letto il GMQ
Il quadrante magico di Gartner (abbrev. GMQ) non è da intendersi solamente come la classifica delle software house concorrenti in base alla qualità del loro prodotto; non va letto così. Piuttosto, è una rappresentazione (anche grafica, e per nulla banale) dell’esperienza complessiva che si può vivere andando a scegliere uno specifico vendor ed utilizzando i suoi prodotti e servizi. Non si tratta quindi unicamente di cosa fa lo strumento, ma di cosa è possibile fare con quello strumento (la differenza può sembrare sottile) e come, cioè incontrando quali difficoltà e con quale supporto da parte sia della software house, sia della comunità online. (Non riuscirò mai a sottolineare abbastanza come quest’ultima qualità sia essenziale per il lavoro di tutti i giorni.) Gartner definisce tutto ciò combinando le cosiddette capabilites (cosa può fare lo strumento) con le personas (a chi è indirizzato lo strumento), valutando le prime sulla base di quali sono le volontà delle seconde.
Ma eravamo partiti asserendo che il GMQ non va inteso come una classifica: ma, quindi, come va letto? La risposta che vi darebbe qualsiasi esperto è la seguente: il GMQ va letto tutto, per bene, e a fondo. Il problema è che nell’articolo c’è molto più da evincere di quanto ci sia effettivamente scritto, ma l’attività non è banale e richiede un tempo che non tutti possono normalmente permettersi. Quindi, innanzitutto e soprattutto, il GMQ va letto senza fraintenderne il grafico. Molti, difatti, commettono un doppio errore mal interpretando sia il significato degli assi, sia il significato dei quattro quadranti. È fondamentale capire che posizionare un vendor nel quadrante dei Niche player non è assolutamente ed in alcun modo un avvertimento a non comprare quel prodotto, esattamente come posizionarlo fra i Leader non equivale ad un invito all’acquisto. Analogamente, i due assi non sono da intendersi come la bontà e la popolarità del prodotto valutato.
Cosa sono le capabilities e le personas
Abbiamo detto che il Gartner del 2023 valuta i vendor definendo funzionalità del prodotto (capabilites) e profili dell’utenza (personas). Le (critical) capabilities sono ben dodici, ma soffermiamoci su due delle tre comparse quest’anno, simbolo di come sta cambiando il mercato. Queste, a molti possono sembrare scontate, eppure negli scorsi anni hanno sofferto un (a mio avviso ingiustificato) calo di importanza tale da non farle comparire in lista. La prima, metric store, tratta quello che chiamiamo “strato semantico”, ovvero quello strato di astrazione che si frappone fra data warehouse e front-end nella quale andare a modellare tutte le necessarie metriche e misure di stato e di performance del business aziendale. Questo è quell’oggetto che solo a valle può fare nascere report, dashboard, applicazioni o analisi che siano, e dovrebbe essere quanto più “generico” possibile, ovvero non verticale su un processo/ruolo aziendale. La seconda, collaboration, riguarda la possibilità e la costante consapevolezza di come i diversi attori aziendali stanno contribuendo, contemporaneamente ed iterativamente, all’evoluzione della propria infrastruttura BI. Questo si traduce in un orientamento verso il decision making collaborativo.
Come personas, troviamo diversi profili. L’analytics developer è chi crea e distribuisce i contenuti finali (certificati) analitici all’interno dell’azienda, definendo la cosiddetta single version of truth. Il data scientist deve poter promuovere in produzione i modelli di test che gli utenti hanno creato a parte e sulla quale hanno testato delle ipotesi in pieno “metodo scientifico”. Il business analyst è l’utente di business che deve poter integrare i dati necessari alle sue analisi, col supporto quanto più minimo possibile da parte dell’IT. Infine, l’augmented consumer è colui che può usufruire di contenuti e insights automatizzati (es. chatbot, Q&A, NLQ) allo scopo di comprendere appieno i contenuti analitici.
Anno 2023: un nuovo shift?
Dalla diversa natura delle quattro personas si può intuire come le piattaforme di Business Intelligence siano, a tutti gli effetti, destinate all’intera azienda (o ad una gran parte di essa), e non a degli utenti specifici come in passato. E proprio perché è una piattaforma condivisa, è importante che possa essere una ed una solamente. Dalle interviste sorge, difatti, come un ambiente composto da diversi strumenti e vendor possa risultare disorientante per tutti i diversi profili. Ed è anche fondamentale che tale piattaforma sia in grado di offrire esperienze diverse per i diversi profili e competenze aziendali.
Tutto ciò ha portato questo GMQ ad un sostanziale cambiamento (shift) di parametri rispetto a quelli adottati nel 2016: non importa più solamente l’aspetto estetico e di costruzione della visualizzazione, ma anche e soprattutto la governance dei dati. Nel 2016, infatti, ci fu il precedente cambio, centralizzando la visione sul business analyst con la promozione della cosiddetta self-service BI e della quick viz (la visualizzazione veloce, dove “con pochi click” si passava dai dati sorgenti al report). Ma è bene ricordare anche come lo shift del 2016 avvenne in seguito a quello del 2010, dove a sua volta la visione era diametralmente opposta (IT-centrica) e le aziende crearono involontariamente nell’IT il collo di bottiglia dei propri processi interni di rilascio della BI.
Questo shift ha portato un generale spostamento verso sinistra nel GMQ, che è da leggersi come un parziale rispetto delle volontà e dei desideri espressi dal mercato secondo Gartner. Infatti, più si è a destra e più si ha una completezza di visione intesa come capacità di andare incontro a quanto vorrebbero poter fare le aziende e gli utenti, offrendo loro strumenti e funzionalità. (Eccezione a questa tendenza è Pyramid Analytics, che da attrice di nicchia sale a visionaria.) Ma va anche detto che nessun vendor è sceso di quadrante, indice di come queste aziende stiano investendo tutto sommato bene in un campo che è effettivamente in crescita ed in evoluzione.
Aggiungo una nota: finora ho parlato di questo shift come se fosse realmente accaduto. In realtà, quest’anno è il primo anno in cui, fra gli esperti, c’è la netta sensazione di un grande cambiamento, al pari di quelli avvenuti nel 2010 e nel 2016. Con buona probabilità si vedrà nel prossimo o nel successivo GMQ il vero effetto dello shift.
Tirando le fila della questione
Ma andiamo al sodo: come si traduce tutto ciò? Semplice: la Business Intelligence non è più – e in realtà non è mai stata – uno strumento al servizio di un singolo processo o attore aziendale (prima l’IT e poi il business). La Business Intelligence è essa stessa un processo aziendale, sempre più diffuso e centrale, che si pone trasversalmente a tutte le altre funzioni mettendole in unione e comunicazione. Per questo essa è in grado di supportare qualsiasi processo decisionale scaturisca da una o più di queste funzioni,riuscendo a misurare puntualmente lo stato del processo e le sue diverse performance, generando una nuova consapevolezza fattuale e condividendola.
L’introduzione delle personas nell’analisi è un pezzo fondamentale del lavoro di Gartner. La valutazione di un vendor, non essendo più basata solamente sulle capabilities, tiene conto delle differenti competenze e necessità dei diversi ruoli e responsabilità nei diversi processi aziendali. Il GMQ, quindi, non è più un mero posizionamento delle qualità tecniche di un prodotto su un grafico con due assi, ma un posizionamento complessivo di come i loro vendor incontrino i gusti e i bisogni di tutti i differenti tipi di utenza nel mercato, dallo sviluppatore al consumatore. Se così non fosse, vi stupirà sapere che sia Microsoft che Qlik sarebbero più in basso nel quadrante. Ma vedere Microsoft posizionata più in alto e più a destra rispetto agli altri non significa che Power BI sia il miglior prodotto per fare Analytics & Business Intelligence, ma piuttosto che Microsoft sia attualmente il vendor che offre complessivamente l’esperienza più ampia ed appagante per tutti i differenti settori aziendali e profili professionali, soddisfacendo mediamente tutti i dipendenti all’interno di un’azienda che ha adottato la BI.
La domanda cruciale diviene quindi la seguente: ci sono prodotti migliori rispetto a Power BI? Gartner dice di sì, ma magari per solamente una delle quattro personas, e/o solo per alcune delle dodici capabilities. Ne è un esempio MicroStrategy che registra nei confronti degli analytics developer un punteggiodistintamente superiore a tutti i competitor, per poi crollare a metà classifica trattando i business analyst e addirittura nell’ultimo quartile guardando agli augmented consumer e ai data scientist. Microsoft, al contrario, non è prima in alcuna classifica specifica (si aggira sempre fra il quarto e il settimo posto), ma la sua offerta anche in termini di strategia di vendita (offerta e licensing), di marketing, di documentazione e tutorial, forum e blog, eccetera – quindi di mercato reale complessivo – supera i competitor in misura tale da essere proiettata a significativa distanza nel grafico del quadrante Leader.
Ma la scelta fra un prodotto complessivamente ottimo o solo puntualmente eccellente sta alla singola azienda che deve acquistare, in base alle sue specifiche necessità che potrebbero non essere del tutto allineate con quelle del mercato globale.
Tornare al passato con l’occhio al futuro
Com’è dirompente l’introduzione nel GMQ delle personas, lo è anche l’introduzione del già citato metric store fra le capabilites. Citando l’articolo, è stata aggiunta allo scopo di enfatizzare come la BI sia innanzitutto un sistema di misurazione: e come questo fu vero al principio – quando gli strati semantici modellavano dimensioni e misure – è vero ancora oggi. Tuttavia, attualmente alle piattaforme BI è richiesto qualcosa in più: rendere le proprie metriche accessibili all’esterno (cioè da altre applicazioni), in un’esperienza cosiddetta application-neutral. Questa richiesta è in totale controtendenza con quanto ha dominato negli ultimi anni, cioè la condivisione del report, e non del sistema di misurazione e delle sue metriche.
È un ritorno alla visione modello-centrica della BI (e, ripetiamolo, non più report-centrica), ma con il posizionamento della Business Intelligence al centro dell’architettura e dei processi aziendali, e non più in cima o a valle di essi. La BI diviene così non solo destinazione e destinatario, ma anche sorgente informativa per ciò che non è esclusivamente BI. Creare e distribuire report e dashboard non è più sufficiente per il mercato globale: questo lo fanno agevolmente tutti i vendor già da dieci anni, e deve essere dato per scontato; in caso contrario, non si comparirebbe proprio nel GMQ.
Dovremmo cambiare nome alla BI?
La sfaccettatura di quanto e cosa debba fare, di vecchio e di nuovo, una piattaforma BI ha già fatto sorgere il dubbio in molti professionisti sull’attualità del termine stesso di Business Intelligence: ha ancora senso chiamarla così, o questo nome è ormai riduttivo? In molti stanno tentando l’impresa di pensare ad un nuovo termine che sia più moderno ed accattivante. Paradossalmente, fra le nuove proposte ce n’è addirittura una che risale agli anni Novanta, cioè agli anni della nascita stessa della BI: Decision Support. Paradossale, ma anche nostalgico: è un ritorno alla prima ed originale funzione della BI, ovvero quella di supporto al processo decisionale dell’azienda (il Decision Making). Similarmente, altri hanno proposto termini come Decision Intelligence e Decision Science (quest’ultimo, a mio avviso, è particolarmente accattivante). Vedremo se qualcuno la spunterà nel prossimo futuro e, in caso, chi.
di Thomas Tolio, pubblicato il 30 agosto 2023